Andrea Pertegato è uno scultore e artista digitale, nasce a Padova il 24 novembre 1985.
Ricordo
quando avevo 6 anni e ad Atene sull’Acropoli passeggiavo sulla lunga via
maestra in lastroni di pietra, osservando attentamente i pesanti macigni,
scorsi tra la polvere delle incisioni in una lingua per me sconosciuta,
chinandomi avvicinai la mano per svelare il mistero celato sotto quegli antichi
glifi, le piccole dita mossero i sassetti e la sabbia che aveva riempito questi
solchi, invaso dall’immagine di un archeologo che riporta in luce antichi
manufatti e fiducioso nella riuscita del mio lavoro, svelai il testo sulla
pietra con mia grande soddisfazione.
Ricordo una
gita scolastica all’età di 7 anni quando a Padova, entrai nell’umido ed
entusiasmante mondo di Giotto all’interno della Cappella degli Scrovegni, un
gioco di indaco mi si palesò davanti, ancora oggi lo ricordo come uno zaffiro
di luce e ombra, arrivammo dopo le noiose parole della maestra al Giudizio
Universale dove un mostro cianotico ingoiava le persone e rimasi così colpito
che notai un angioletto nascosto che catturò la mia curiosità macchiando la mia
mente indelebilmente…
Ricordo alle
scuole medie quando l’insegnante di arte ci diede un compito, disegnare e
inventare una spilla con l’iniziale della lettera del nostro nome, la mia
insegnante d’arte era una signora accorta e sensibile con i capelli corti color
cenere; la frizzantezza, l’esplosione di gioia nel creare e il conflitto che si
generarono sono tutt’ora vivi in me come allora. Quel giorno imparai la mescola
dei colori nell’uso dei pastelli, pura magia per un adolescente.
Ricordo la
prima volta che andai a vedere l’Istituto d’arte Pietro Selvatico, c’era
un’intera parete costellata di modellini architettonici, profumo di legno e
carta, la stessa sensazione di piacere come quando dal fornaio si sente il
profumo del pane appena sfornato.
Ricordo,
qualche anno dopo, una lezione dove il professore di architettura mi fece
conoscere le opere dell’architetto Mies Van Der Rohe Invenzioni di specchi
d’acqua in forme lineari. Credo che non si dimentichi la ricerca di uomini le
cui vite non sono state sprecate, così mi accorsi che quando qualcuno trova
l’innominabile, la sua voce, attraverso le sue opere, ti parla.
Ricordo
Venezia, Piazzale Roma, di ritorno dall’Accademia di Belle Arti quando la
pioggia cadeva fitta e l’autobus della Sita saltava la corsa, un’ora di attesa,
delle volte anche due, lì imparai che l’attesa è il freno a mano in una strada
in salita, ma non azionato dal guidatore, ma dal fato, allora, mi
accorsi, di poter scendere e fermarmi. Pensai alle lezioni affascinanti,
agli esami, a leggere intento a ragionare e a formare la mia personalità
scoprendo così che l’attesa è un momento per se stessi più che l’azione del
fare.
Ricordo
quando varcai per la prima volta Cinecittà, un rudere senza riscaldamento, ma pur
sempre impregnato di conoscenza. Pensate alle mani aperte i palmi rivolti
verso l’alto e tra un dito e l’altro come dei foglietti avete inserito le
vostre conoscenze della materia a cui vi state avvicinando. Lì avevo un solo
foglietto tra il mignolo e l’anulare, dove scrissi delle domande. Trovai un
professore barba e baffi bianchi, dall’aspetto, sembrava che ne sapesse,
ne uscii energico e con risposte esaustive, avevo appena aggiunto un nuovo
foglietto tra le dita, per le strade degli Studios, nella storia del cinema,
osservando titaniche scenografie ormai in disuso.
La nostra
ricchezza, credo, stia nel passato, il presente o è già passato nel pensarlo o
è futuro nell’azione, fin qui sono ricco quanto basta per essere soddisfatto,
ho potuto scegliere consapevolmente cosa essere e così ora sono futuro…